Vicenza, bambini a pane e acqua. COMITATO SALVA REFEZIONE: denuncia il tuo scandalo! Pisani per la Regione “Fondi per la refezione, MAI far pagare al bambino le colpe del genitore che purtroppo non può più pagare la mensa scolastica”

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Una risposta

  1. Giuseppe LUCA scrive:

    NOVE PANINI E NOVE BICCHIERI D’ACQUA CON UNA LEZIONE DI AUTENTICA SOLIDARIETÀ In una scuola di Montecchio Maggiore, nel Vicentino, nove bambini (sette stranieri e due italiani della scuola materna ed elementare) “inadempienti” per l’amministrazione comunale, perché i genitori non erano in regola con la retta dei pasti, ricevono nel loro piatto, non la pastasciutta e l’hamburger previsto dal menù per gli altri piccoli commensali, ma solamente una pagnotta e un bicchiere di acqua. Questa, in sintesi, la notizia riportata dai mass-media “farcita” con le inevitabili polemiche, le prese di posizioni dei politici di turno, gli interventi degli esperti che hanno parlato del disagio dei nove, il disappunto e l’amarezza del personale della scuola interessata, le “difese” dell’Amministrazione. Personalmente m’interessano poco le polemiche seguite, le strumentalizzazioni politiche accentuate in vista delle elezioni, le argute osservazioni degli esperti, le “difese” dell’’Amministrazione, né mi stupisce lo stupore del dirigente scolastico e degli operatori di quella scuola, che reputo legittimo e scontato. A mio parere, sarebbe stato più interessante sul piano “educativo”, se tutti i mass-media avessero evidenziato l’autentica lezione di umanità e di solidarietà impartita dagli altri piccoli commensali che, anche se spinti dai docenti, non hanno atteso un solo minuto per dividere, con i nove, il cibo a loro servito e riportare, così, il sorriso restituendo, a quella sala mensa, il quotidiano e lieto tintinnio di posate e di sedie. Un gesto, quello dei piccoli, quasi istintivo e fatto con tanta semplicità e senza chiedere, in cambio, alcuna ricompensa e che, una volta tanto, pur non dimenticando i tanti atti di bullismo che riempiono le cronache nere dei nostri giornali, ci ricorda che, i nostri alunni, sono capaci di impartire lezioni di alto valore umano. Convinto, però, che la lezione dei piccoli non deve costituire un semplice momento “emotivo” e/o un alibi per quanti sono tenuti, per legge, a rispondere ai bisogni di tutti i cittadini, apprendo con piacere, che la Caritas di Vicenza ha dato la propria disponibilità a coprire le spese dei nove alunni sospesi dal servizio mensa perché “nessun bimbo deve essere umiliato nella sua dignità, a causa della precarietà economica della famiglia”. Mi piace, ancor di più, leggere quanto auspicato dalla stessa Caritas che “non solo a Montecchio Maggiore, ma in ogni parte d’Italia, la comunità ecclesiale, la società civile e i pubblici amministratori si mobilitino affinché nessun bimbo debba essere umiliato nella sua dignità, ancor prima che nei suoi bisogni primari, a causa della precarietà economica della famiglia”. In una società civile e globalizzata è bene, però, precisare che, rispondere, qui e ora, con un atto di carità ad un bisogno reale e impellente del prossimo, è un gesto certamente apprezzabile ma che non debba sostituire un impegno quotidiano e finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nell’indigenza specialmente oggi che la miseria assume le proporzioni di una vera e propria questione sociale mondiale. Accanto ad una forma di solidarietà personale, vista come atteggiamento di comprensione e benevolenza, ma soprattutto nell’ammirare lo sforzo gratuito e attivo finalizzato ad assistere i disagi e le esigenze di chi ha bisogno d’aiuto, occorre auspicare e creare una solidarietà sociale che coinvolga le istituzioni, gli Enti ed organismi al fine di sollevare ed anche emancipare persone o categorie sociali, comunque in difficoltà. Tutti conosciamo il saggio proverbio cinese che suggerisce in modo semplice e chiaro di superare la logica assistenziale in favore di una logica di promozione dell’autonomia: “Se dai un pesce a chi ha fame lo sfami per un giorno, se gli insegni a pescare, lo sfami per tutta la vita.” Questo, però, deve essere il primo passo verso la cooperazione allo sviluppo, ma non l’unico perché, se così fosse, ritorneremmo ai sistemi dei colonizzatori. La solidarietà sociale deve portare subito a “difendere il fiume”, cioè l’ambiente, a “difendere il pesce pescato”, cioè i diritti conquistati, e a “difendere la canna da pesca”, cioè i mezzi di produzione. Sono questi gli elementi che consentiranno una vera autonomia, non solo produttiva, ma anche decisionale alle popolazioni coinvolte. È possibile percorre questa strada da parte delle scuole? Non è certo facile perché non si può sottovalutare l’influenza negativa che ricade sui nostri alunni bombardati e intossicati continuamente dai falsi dogmi e miti offerti dal pullulare di reality e fiction che sembrano porre il denaro, il successo, la merce, l’insulto “gridato”, la parolaccia, l’esteriore bellezza ad ogni costo, come principali forme per le relazioni umane. Oggi sembra che il narcisismo, da semplice corrente di pensiero, sia diventato modalità di comportamento. Ci si accontenta di contemplarsi, di piacersi, di soddisfarsi. Ciascuno si gestisce come gli pare e gli piace nella convinzione che la “morale” sia un optional o una semplice opinione personale adattabile ad ogni nostro comportamento. Questo narcisismo impedisce la crescita non solo dei soggetti sociali quali la famiglia e la società, ma impedisce la crescita della persona stessa che non riesce più a costruirsi nel confronto, nel dialogo, nel dono all’altro. La persona umana ha bisogno del noi, dell’alterità, della solidarietà. Ma, per fortuna, è proprio per questo scenario complesso e deviante che, spesso, la famiglia e i tanti ragazzi “sani”, continuano a volgere un’attenzione particolare verso la scuola alla quale chiedono di prestare molta attenzione alle finalità istituzionali e interagenti di istruzione,educazione e formazione. L’urgenza di educare gli alunni alla percezione/stima dell’Altro nell’accezione più ampia possibile del termine, (altro è anche chi non si conosce, chi è lontano, chi soffre, chi è diverso…) credo sia il primo passo che la scuola dovrà fare, per la costruzione della solidarietà sociale. Educare alla solidarietà, significa far percepire l’opportunità e il significato della relazione e del confronto con l’altro e con il diverso, non con tolleranza, ma con certezza che la relazione avviene sempre tra pari. In questa logica, riconoscere le diversità, non significa solamente combattere contro i pregiudizi e gli stereotipi, ma essere disponibili a imparare quotidianamente dagli altri, senza guardarli come un pericolo anzi vedendo la diversità come un valore indispensabile perché ciascuno possa scoprire ed esprimere se stesso. Giuseppe Luca, [email protected], 3334358311 Direttore Responsabile della “Letterina”

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